Non scrivevo una poesia da circa cinque anni.
Non mi mancava.
Sono stati anni pieni di altro, in cui non ho sentito il bisogno di rivoltarmi le budella per vomitare l’anima.
Ho sempre pensato che fosse questo, la poesia:
rivoltarsi le budella per vomitare l’anima.
Non so cosa sia di preciso, né a cosa serva; se riguardi la morte, oppure la vita.
L’altro giorno è tornata.
Ero in una sala d’attesa.
Stavo odiando qualcosa, non ricordo bene cosa.
Non mi ha ispirato nulla in particolare.
Niente di materiale.
Niente donne.
Peccato, credo.
A vent’anni era tutto un correre dietro alle donne, più per scaraventarle su un foglio che sul materasso.
Ora rileggo quelle poesie e ho nostalgia delle sfrontatezze, delle ore lasciate in un letto a fare l’amore senza alzarsi neanche per mangiare, ma non delle parole.
Le parole di quegli anni non le voglio più leggere.
Quelle di oggi, un giorno chissà.
Scarabocchi
su un foglio senza
nome
di una notte senza
data:
AMORE
Che parola
è mai stata?
03.01.2016
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